Dove la mente è anche il braccio
Oggi ho accompagnato in giro per Pistoia ben 30 turisti giapponesi venuti per esplorare la città, proprio come fece l’Imperatrice Michiko nel 1993 accettando il precedente invito ricevuto da Umberto Pineschi, fondatore dell’Accademia d’organo di Shirakawa. È stata una giornata intensa e molto piacevole. Sono tornata a casa dei nonni che si erano dedicati tutto il giorno agli ulivi, concedendosi poche pause. Ceniamo insieme come sempre e ci perdiamo in nuovi racconti. Nonno Aurelio mi racconta che quest’anno l’olio non verrà buono come sempre, perché ha piovuto poco, ma sorride dicendomi che l’anno prossimo andrà meglio. Ha un ottimismo travolgente che lo ha portato col sorriso ai suoi 78 anni.
Ci siamo seduti in giardino e la nonna ci ha letto qualche vecchia poesia che ha ritrovato tra le sue cose, commuovendosi parola dopo parola. Alle undici siamo andati ognuno in camera propria senza dimenticarci la buonanotte, che in famiglia è una legge d’amore. Stanca ma felice mi sono stesa sul letto, ho contato solo fino a otto in inglese e mi sono addormentata. Ho iniziato a sognare e sono stata catapultata in un posto a me familiare, che vedevo sempre mentre andavo in collina con i nonni.
Non è come lo ricordavo: non ci sono più vetri rotti a terra, non c’è più caos, non ci sono quell’oscurità e trascuratezza che tanto mi facevano paura da piccola. Sto cercando di capire dove sono, dove sia sbarcata questa volta. Eccomi, ci sono: mi trovo alle Ville Sbertoli, vecchio ospedale psichiatrico, per anni in disuso, che era stato abbandonato alla propria follia e desolazione senza che nessuno se ne prendesse cura.
Adesso, invece, profuma di ordine, di vita, di una sana creatività che sta esplodendo. Sono in una stanza e vedo giovani ragazzi, con lo sguardo curioso ed attento, che lavorano il legno seguiti da un artigiano che trasmette loro la sua passione come una madre fa con i propri figli. Li osservo, in silenzio, dal mio angolo privilegiato e li vedo lavorare, recuperare dal passato per dare forma al futuro. C’è un uso nuovo della materia, si vede un’interpretazione rinnovata dell’artigianato che fa sposare la manualità con tecnologie consapevoli, creando un volto originale della lavorazione artigianale.
Sento un suono, che non è rumore, bensì è poesia in nota e, allora, mi sposto incuriosita in un’altra stanza dove scopro dei ragazzi intenti a creare strumenti musicali, a progettare ciò che animerà serate o che renderà ancor più solenni gli atti sacri. Stanno creando liuti, studiando organi ed immaginando piatti di batterie che andranno in giro per il mondo. Si scorge il sapere degli Agati e dei Tronci reinterpretato con una contemporaneità metodologica che va ad arricchire un già sapiente lavoro. Chissà che da queste menti e da queste mani, sotto la guida del liutaio Pietro Gargini, non nasca un nuovo violino che, magari, un giorno, verrà suonato da David Garrett alla Scala di Milano.
Mi guardo intorno e mi chiedo chi possa aver realizzato questi mobili dal design unico e inimitabile. Sento la voce di Alessandro Mendini, che, in un altro salone, trasmette la sua arte ai suoi discenti, permettendo al design di prendere vita attraverso la creazione di mobili, divani e poltrone dall’animo artistico che vengono realizzati ora da giovani mani creative, pronte a reinterpretare per dar vita al nuovo, giocando con forme, materiali e nuove tecnologie che consentano un rinnovato approccio all’artigianalità del fare. In quest’aula viene rispolverato l’artigianato quarratino avvolto da un design ispirato dall’autenticità e della creatività locale. Qui potrebbe nascere una nuova poltrona Sgarsul, che fu progettata da Gae Aulenti, oppure una nuova Foglia, la poltroncina nata dal design di Fabrizio Corneli, o un nuovo divano Joe, creato dall’azienda Poltronova, perché il design creativo si respirava fortemente a Pistoia e il suo spirito non si è perso nel tempo. Qua si avverte con passione anche l’aria della forte tradizione metallurgica pistoiese, che ci porta indietro nel tempo pensando alla celebre Fonderia Michelucci. Restando in tema di materiali, metalli e design qui è tangibile la creatività che Angelo Lelli un tempo mise nella progettazione e realizzazione di lampade di ogni tipologia.
Da un’altra stanza percepisco un suono diverso, più soave e delicato: sono mani che lavorano, che cuciono, apprendendo la tradizione del ricamo, interpretando con nuova luce il punto casale, creando piccole opere su stoffa e cercando di realizzare nuovi motivi e rinnovati modi di operare il tessuto. Ci sono il silenzio e la dedizione di chi lavora con attenzione e con un amore che non è mai scontato.
All’improvviso arriva un vento dolce che mi fa spostare in un grande corridoio e in un’altra stanza ancora, dove scopro dei giovani che lavorano la ceramica, che plasmano con le loro mani una materia unica, eccellente. Li osservo: cerco di capire chi di loro possa avere le mani di Luca Della Robbia o la creatività di Santi Buglioni, per creare un nuovo Fregio Robbiano o una creazione che si avvicini in magia a La Visitazione. I loro gesti parlano, apprendono e danno vita a qualcosa che per troppo tempo è stato lasciato da parte, come un oggetto di cui ci siamo dimenticati o un amore dato per scontato.
Sento altre voci, mi muovo nuovamente e scorgo un piccolo teatro dove Stefano Micelli e Chris Anderson stanno tenendo una lezione teorica sul futuro dell’artigianato, sul ritorno alla produzione che crea eccellenze, che lavora per dar vita a nuove meraviglie. Gli studenti sono attenti e dal loro sguardo si scorge ambizione, la voglia di arrivare in alto facendo vibrare mente e mani che, in questo gioco del fare, diventano un binomio indissolubile.
Mentre guardo incantata sento un profumo che, in un effetto madeleine, mi riporta ai pranzi della domenica, alla cucina della nonna che, con le sue mani piene d’amore, preparava piatti della tradizione, diventati ricordi meravigliosi nella nostra mente. Affascinata seguo questo odore magico e scendo le scale, trovandomi in una grandissima cucina, dove giovani danzano tra i fornelli dando vita a piatti unici in grado di coniugare i segreti delle nonne alla freschezza di menti e mani cresciute in questo millennio. Si sente l’odore della farinata di cavolo nero accompagnata dalla croccantezza di una cialda di parmigiano che dà un nuovo sapore al piatto, si percepisce nettamente il profumo del castagnaccio a cui sono stati aggiunti origano, pinoli e uvetta a creare una poesia per i sensi. Dolce e salato, passato e futuro, il tutto in un unico luogo. Vedo Massimo Bottura che li guarda con incanto, orchestrando questa nuova brigata con lo stimolo e la curiosità che porta ad esplorare mondi nuovi.
Nello stupore sono confusa, in balia di tanti pensieri ed emozioni che mi smuovono. Esco fuori, in giardino, dove trovo una grande altalena di legno che fa da culla ai miei pensieri. Ascolto le voci dei maestri ormai lontane, sento la musica, arriva il profumo. Cos’è diventato quel posto dove un tempo le persone cercavano ricovero per la loro anima? Rifletto. Adesso ho capito, tutto mi si fa più limpido: le Ville Sbertoli hanno finalmente ripreso vita: è diventata la Scuola di Artigianato e Progettazione. Leggo meglio la targa affissa sull’edificio e scopro con gioia che questa accademia è gemellata con il Massachuttets Institute of Technology, con la Domusacademy, con il prestigioso e vicino Opificio delle Pietre Dure e che è stata fortemente voluta dall’Unione Imprese Storiche Italiane, che desiderava avere un tempio immerso in luogo autentico dove reinterpretare la tradizione. Qui i giovani studiano, lavorano e creano tutto l’anno per apprendere realmente un mestiere e per dare vita ad una mostra che possa raccontare al mondo esterno le eccellenze che qui vengono prodotte e generate.
Le Ville Sbertoli si sono trasformate da luogo di recupero di anime in luogo di recupero di tradizioni, manualità e creatività, con la consapevolezza del presente e uno sguardo al futuro. Sempre di vita si parla, sempre di voglia di ricominciare, di avere una seconda chance e di riprendere ciò che ha preso polvere per troppo tempo, donandogli una nuova forma.
Qua i giovani possono apprendere un mestiere, muoversi nelle loro passioni e riscoprire una manualità ancestrale che niente ha a che fare con la monotonia e con un ritmo statico, utilizzando, però, ciò che il progresso ci ha portato, ovvero tecnologie nuove, intelligenti e consapevoli che facciano coniugare mani e macchine. È diventato un luogo delle seconde possibilità sia per le persone, che per i mestieri, che per un futuro che si prospettava sempre più vicino ad una produzione senz’anima e a basso costo di manodopera. Ho scoperto un posto magico, dove la mente è anche il braccio, dove la progettualità convive con la manualità e il sapere diventa saper fare.
La sveglia suona: sono le sette e trenta e una giornata con un gruppo di olandesi mi aspetta! Mi alzo serena, rigenerata e curiosa perché ho viaggiato e ho scoperto un luogo rinnovato e vissuto, dove, un giorno, spero di poter passeggiare realmente e di poter portare i turisti a scoprire il grande lavoro che viene realizzato in questa scuola speciale.